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sabato 24 dicembre 2016

Il Natale è ad Aleppo


"In diretta da Aleppo. I siriani festeggiano la liberazione dall'occupazione di Al-Qaeda. Perché non c'è la fila dei corrispondenti occidentali per raccontarla?"

Già, perché? La risposta la conoscete.
Sarei tentata di non scrivere altro, dopo questo tweet di Sarah Adballah. Voglio solo guardare senza mai stancarmene e condividere con voi queste immagini del più bel Natale di quest'anno; da una città liberata, da un paese dove "santa" cristiani e islamici festeggiano di nuovo assieme il Natale, dove si festeggia per strada, si fa musica, si illuminano le strade con le luci colorate, si è ricominciato a giocare il campionato di calcio e quello di basket e stasera si celebrerà di nuovo la S. Messa ad Aleppo in una cattedrale semidistrutta. 
Vi lascio queste immagini (OSCURATE da tutti i merdia) da un paese e da un popolo che merita di ricominciare a vivere e di essere lasciato in PACE. Con un ringraziamento a Naman Tarcha, a Sarah Abdallah, a maytham e a tutti coloro che, in questi mesi ci hanno tenuti informati e hanno condiviso con noi, momento per momento, questo lungo cammino dei siriani verso la libertà.

Babbi Natale cristiani e islamici assieme per le vie di Damasco.  (fonte maytham)

Un asilo a Damasco. (fonte maytham)

Oggi, marcia per la Pace ad Aleppo. (fonte Naman Tarcha)
Il Presepe  realizzato da un artista di Aleppo nella Cattedrale di S. Elia saccheggiata, dove si terrà la Messa di Natale. (fonte Naman Tarcha)






Nel frattempo i russi, quelli che, secondo i merdia e quel covo di serpenti velenosi che è l'ONU, "ucciderebbero donne e bambini", consegnano aiuti alla popolazione. Avete visto queste immagini nei nostri immondi TG?





Vigilia di Natale a Homs.  (fonte maytham)
Buon Natale, fratelli siriani. E che sia un Buon Natale, prima o poi, anche per noi. Per questa povera Europa okkupata dove il presepe e l'albero è meglio non farli perché potrebbero offendere qualcuno.

Buon Natale anche ai miei lettori.


mercoledì 21 dicembre 2016

Terrorismo hollywoodiano e l'accelerazione finale della propaganda noborderline



Guardare i telegiornali, o le news, per non suonare antichi, comincia a rappresentare la perfetta metafora del ben noto osservatorio dell'abisso nicciano. Un'esperienza nella quale si rischia seriamente di perdere il senso della distinzione tra realtà e reality, tra vero e falso, tra resoconto e sceneggiatura. Come se il dogma mondialista dell'eliminazione dei confini e delle frontiere, nel suo dilagare neoplastico in ogni cellula del tessuto sociale, riguardasse ormai anche quelli, fondamentali, dell'IO. Confini, tra percezione ed allucinazione, tra mondo reale ed immaginario, che normalmente ci impediscono di cadere nel baratro della scissione  della follia. 
Il risultato di questa sindrome noborderline indotta è l'acquisizione di un nuovo privilegio. Ovvero, quando ascoltiamo la versione dei "fatti" mediata dalla propaganda, a noi tutti viene concesso di sperimentare la vertigine della follia istituzionalizzata, la libera uscita per un momento nel delirio. "Siate affamati, siate folli", lasciò profeticamente detto e non a caso il più celebre "profugo siriano", una volta divenuto creatore di costosissimi gingilli high-tech,  si dice preconizzati grazie alle visioni offerte da trip lisergici.

Di siriano il figlio adottivo Steve Jobs aveva solo il padre naturale ma per la propaganda noborderline egli diventa "profugo siriano", immortalato in questo murale di Bansky.

La concessione, da parte del potere elitario, del privilegio di essere folli a comando, assomiglia a quella che permette a determinate umanità colorate di poter essere razziste fino all'eliminazionismo nei confronti di altre ("Black Lives Matter" e tutta la propaganda contro il "suprematismo del maschio bianco"). Un'élite che quindi si diverte a spostare su un mixer ideale le leve dei sentimenti, delle passioni, degli atteggiamenti e dei pregiudizi - su il pietismo, giù il nazionalismo, un po' di effetto eco autorazzista, un vibrato buonista, vai con le grancasse dell'irreversibilità made in TINA. 

La psyop, l'operazione psicologica, viene ultimamente spinta a livelli parossistici, e chi la dirige è sempre più incurante del senso del ridicolo delle sue argomentazioni, tali che rischiano infine di farla scoprire, e del fatto, purtroppo per lui, che sempre di più chi la subisce si è addestrato, per legittima difesa, al fact checking e all'incredulità acquisita proprio grazie alle sparate sempre più inverosimili che gli tocca di ascoltare.
Ai tempi di Goebbels, quando c'era solo un abbozzo di moderna società della comunicazione, poteva essere vero che "una bugia, tanto più grossa fosse stata, tanto più sarebbe stata creduta" ma oggi questo postulato sta diventando sempre meno valido, grazie all'interconnessione di milioni di nodi di una rete di comunicazione che, più che virtuale, è ormai neuronale, ovvero fisica e nella quale ogni nodo, ovvero ognuno di noi, è in grado di produrre informazione e soprattuto controllare, confermare o confutare quella altrui, inclusa naturalmente quella fornita dalla propaganda.
Credendo di avere a che fare ancora con le folle di Gustave Le Bon alle quali, come diceva Benito, piace essere fottute, la propaganda fa un uso talmente spregiudicato della finzione, della citazione cinematografica, dell'affabulazione controfattuale da fumetto o cartone animato, e dell'utilizzo di stilemi riconoscibilissimi e ricorrenti, che ormai sta svelando ogni suo trucco, perdendo così di "credibilità". Meno la crediamo e più di conseguenza la propaganda perde i suoi superpoteri di persuasione, più essa si fa assurda, violenta, irrazionale, antilogica. Con la speranza che un giorno imploda su sé stessa e anneghi nell'ignominia.

Prendiamo i due ultimi esempi di quella che, per comodità, chiameremo ancora cronaca. Cronaca della Strategia della Tensione 2.0, per l'esattezza.
Nell'episodio dell'assassinio in diretta in una galleria d'arte dell'ambasciatore russo in Turchia vediamo un "man in black" sparare a Karlov gridando "Allahu akbar". Uno che assomiglia sputato al fedelissimo angelo custode di Frank Underwood, l'eroico Meechum di "House of Cards", tra l'altro. 



Va bene, è un caso. I men in black si assomigliano un po' tutti. Costui, che verrà ucciso - ci raccontano - poco dopo l'assassinio di Karlov dalle forze speciali intervenute sul posto,  era un agente turco di 22 anni, Mevlut Mert Altintas. Se si ignorano le motivazioni dell'uccisione dell'ambasciatore, tuttavia non si capisce perché Enrico Mentana nel suo TG abbia negato, scegliendo la formula dubitativa, che Meechum-Mevlut avesse gridato l'invocazione ad Allah. Eppure nel video dell'assassinio la frase si sente benissimo, più volte. Forse perché il terrorismo islamico non s'ha da nominare? Da negare o suggerire ma mai da confermare, sì da lasciare l'uditorio nel dubbio e nella cara e vecchia incertezza da lupara bianca? Curioso anche che il resoconto di questo assassinio da parte dei nostri TG ricalchi perfettamente la versione ufficiale erdoganiana. Ovvero, "ha stato Gulen", il magnate filantropo (se mi passate l'ossimoro) che già mesi fa tentò di rovesciare il presidente turco con un golpe poi abortito. Se volete la mia impressione, Erdogan è in quella lista nera di personaggi collusi con il regime neocon e, se il vento cambierà veramente direzione a Washington, al prossimo golpe non dovrebbe passarla liscia. My two cents.

La propaganda, per tornare a noi, lascia tracce come il sangue, che voi potete rivelare usando il Luminol della logica. Se una storia non vi quadra, è piena di contraddizioni o palesi assurdità, potete stare certi che si tratta di propaganda.
Sentite appunto lo sparatore gridare distintamente "Allahu abkar" ma vi dicono che non è certo che lo abbia gridato. "Mi dicono che non è vero" era una celebre gag di Alighiero Noschese quando imitava il giornalista del TG Mario Pastore. 
Ovvero, non dovete credere alle vostre orecchie ma solo a quello che vi diciamo NOI. Il che fa il paio con il secondo postulato: "Non dovete credere nemmeno ai vostri occhi ma a quello che vi mostriamo NOI". Come quando vedete due grattacieli con struttura in acciaio polverizzarsi in pochi secondi e vi viene da pensare ad una demolizione controllata compiuta con un nuovo tipo di esplosivo mai utilizzato in precedenza e loro vi rispondono con l'Attivissimo che spiega, con la solita fallacia dell'argumentum ab auctoritate, e guardandovi con il tipico sguardo di commiserazione del debunker, che "tutti gli esperti hanno affermato che tutti i grattacieli in acciaio colpiti da un'incendio come quello si sciolgono per il calore. Lo sanno tutti."

L'altro recentissimo caso di cronaca dove la propaganda proprio in queste ore sta raggiungendo vette di sublime nequizia è l'attentato di Berlino al mercatino di Natale, eseguito con la modalità del TIR lanciato sulla folla, come già accaduto il 14 luglio scorso a Nizza.
Non viene nominato il terrorismo islamico, nonostante tempo fa i soliti canali di gossip jihadista avessero suggerito la possibilità di attentati da compiere contro i crociati durante il periodo natalizio e nonostante Mentana abbia mostrato la rivista jihadista con le istruzioni per compiere una strage di crociati con il TIR e la solita Katz abbia sventolato la rivendicazione dell'ISIS. La matrice potrebbe quindi essere chiara, eppure si tergiversa, si sussurra ma non si grida, e anche questa narrazione post terroristica è all'insegna del negazionismo. Niente è certo, non si sa, boh, chissà, non ci sono certezze. Ripetiamo, non si può dire che, niente è sicuro.
Niente è provato, tranne la storia della vittima italiana. Un nome senza corpo. Dispersa, irreperibile ma sicuramente morta. Sulla quale si fanno titoli come questo:


Avete presente i grandi detective, ovvero quelli dei telefilm polizieschi, che si insospettiscono e costruiscono pazientemente la rete nella quale finirà l'insospettabile colpevole partendo da una piccolissima incongruenza, un capello fuori posto, una nota stonata, un bullone finito nell'ingranaggio che provoca il grippaggio di tutto il meccanismo? Ebbene, in questo caso è quel padre che non si illude.
Un padre che, il giorno stesso della scomparsa di un figlio, afferma "é finita" è un padre che non esiste. Un padre negherà che il figlio è morto perfino di fronte al suo cadavere in obitorio, e qui non c'è alcun cadavere, non c'è alcun morto, c'è solo - ci dicono - una persona ufficialmente dispersa ma allo stesso tempo dichiarata, non si sa perché e a quale fine, sicuramente già vittima, ovvero morta.
Scusate ma questa storia della ragazza di Sulmona non sta in piedi nemmeno con i puntelli e non c'è bisogno del Tenente Colombo per capirlo. 
Preparate il luminol e guardate l servizio andato in onda ieri sera nel TG di Mentana. 


Una ragazza "che aveva scelto il mondo", che era andata a Berlino perché "è la città che offre più possibilità ai giovani", che si era laureata in mediazione culturale, che difendeva i migranti, che aveva postato questo tweet con l'estratto del film dove si afferma "Vada via dall'Italia, prima che sia troppo tardi."
Una ragazza che "sicuramente" ha fatto la stessa fine dell'altra ragazza, quella morta al Bataclan. Sicuramente. Anche se ufficialmente è solo dispersa e non ci sono cadaveri da riconoscere ma "occorrerà l'esame del DNA" per avere la conferma. Di cosa, visto che non ci sono frammenti? Solo un cellulare lasciato sul luogo della strage, come i soliti documenti dell'attentatore lasciati sul TIR "assassino". Come nella Citroen di Charlie Hebdo, come tra le macerie del World Trade Center, come a Nizza. Il solito fottuto copione. Un TIR al quale, anche stavolta, si è attribuita una volontà omicida alla "Duel" e il cui austista, come nel film di Spielberg, non si vede mai. La personalizzazione della macchina e la depersonalizzazione del guidatore. La vertigine dell'assurdo. Un gioco crudele.



E' possibile credere a questa narrazione, così astutamente strumentale e in fondo così oscena? 
Con tutta la buona volontà, no. Non posso credere al padre che non pretende nemmeno la prova inconfutabile della morte della figlia ed è già rassegnato al peggio. Non esiste, non è possibile. E' contro ogni logica e ogni regola dei rapporti affettivi. Non parliamo di quelli sacri tra genitori e figli. Ci sono famiglie che ancora apparecchiano il posto a tavola per il figlio che è sparito da quarant'anni, confidando ogni giorno in un suo ritorno. 
Non so sinceramente cosa augurarmi, riguardo a questa storia. Che questa ragazza sia viva e attorno a lei si sia creato solo un grosso imbarazzante equivoco, oppure che non esista. Che sia un avatar, un esperimento crudele di manipolazione della credulità umana, o un crisis actor, un personaggio costruito a tavolino al quale è stata assegnata una parte. Perché se la propaganda si spinge davvero fino a questi livelli, facendoci capire che è in grado di materializzare o, al contrario, di far scomparire le persone, oppure, nel caso sia veramente morta per terrorismo, di grufolare senza vergogna sul cadavere di una ragazza, vuol dire che "loro" sono capaci di tutto e pronti a tutto.


P.S. Qualcuno si domanderà: ma allora i merdia producono fake news? Certo, anche alcuni derivati come le fake news al quadrato e le fake news al cubo.
Fake news al quadrato: Repubblica scrive "lo dice la CNN".
Al cubo: Repubblica scrive: "secondo fonti dell'Intelligence, riportate dalla CNN..."


PP.SS. Hanno confermato la morte della ragazza. Allora potrebbe essere vero ciò che mi avevano riferito poco fa, e cioè che lo si era saputo fin da subito ma si è scelto di fare un po' di ammuìna. E perché? Per permettere ai merdia di grufolare sull'ennesimo Isacco sacrificato sull'altare UE, Erasmus, ecc.? 
Ecco, vi prego, risparmiatemi l'atroce eventualità della Sindrome di Abramo.  Queste famiglie dovranno pretendere giustizia, non accettare il ruolo delle vittime sacrificali per i loro figli in nome del "sogno".

giovedì 15 dicembre 2016

Coraggio, dammi della nazista


Ieri sera interessante scambio su Twitter. Meritevole del mio primo storify. Vogliate gradire.


lunedì 12 dicembre 2016

Il governo derivato del conte di Filottrano e dell'Acqua Cheta


Mentre scrivo è appena nato il primo governo derivato. Una deiezione del Moloch finanziario, un CDO sintetico, ovvero, per non utilizzare sempre la nota greve metafora su cani e gatti del film "La grande scommessa" ("CDO's are dog shit wrapped in cat shit"),  una fregatura piddina con dentro un pacchetto di fregature piddine subprime e altamente tossiche.
Nuovo governo è naturalmente una battuta. Non c'è niente di nuovo. Sono sempre loro, perfino la Boschi, hanno semplicemente fatto il cambio di tazza e si sono spostati di un posto, come al tè del Cappellaio Matto.
Tutti riconfermati; senza vergogna, senza dignità, in spregio alla volontà popolare che li ha bocciati al referendum ma del quale loro allegramente si fottono, dall'alto delle loro aristocratiche torri eburnee.

Dite la verità, però, vi sentite sollevati. Vi aspettavate un tecnico, un terminator, un feroce aguzzino mandato dai dottorini morte, i mengeloidi di Bruxelles. Uno con l'occhio cannibalesco alla Chikatilo come Monti. Invece vi tocca il conte di Filottrano e dell'Acqua Cheta, colui che assomiglia talmente a Mattarella da potergli essere figlio (guardate, è impressionante. Dal profilo, al sorriso, alla postura).
Impariamo subito a conoscerlo, il conte, perché finora non è che abbiamo avuto molte occasioni per inserirlo nella categoria degli indimenticabili e, hai visto mai che, sciolta la riserva ed appioppatoci il CDO al cubo che ci piomberà addosso con tutto il suo peso, ci tocchi tenercelo come premier fino a che il PD non sarà riuscito a radere al suolo del tutto questo paese. 

Paolo Gentiloni Silveri è nato a Roma nel 1954. Ha 62 anni di età. E' discendente della famiglia dei conti Gentiloni Silverj, Nobili di Filottrano (AN), di Cingoli (MC) e di Macerata, imparentati con Vincenzo Ottorino Gentiloni, noto per l’omonimo Patto che a inizio ‘900 segnò l’ingresso dei cattolici nella vita politica italiana.
Gentiloni frequenta un istituto montessoriano e riceve un’educazione cattolica (fa anche da catechista assieme ad Agnese Moro). Passato al liceo Tasso a Roma, partecipa ad una occupazione nel novembre 1970. A dicembre fugge di casa per partecipare ad una manifestazione a Milano. Entra quindi in contatto con il Movimento Studentesco di Mario Capanna, e dopo la confluenza di questo in Democrazia Proletaria Gentiloni rimane nel Movimento Lavoratori per il Socialismo (MLS) sino alla sua unificazione con il Partito di Unità Proletaria per il Comunismo.
Nella sinistra extraparlamentare incontra i suoi amici Ermete Realacci e Chicco Testa. Grazie a quest’ultimo ottiene nel 1984 la direzione de "La Nuova Ecologia". Dal 1990 è giornalista professionista. Durante gli otto anni di direzione del mensile di Legambiente si lega a Francesco Rutelli, di cui nel 1993, all’elezione a sindaco di Roma, diventa portavoce.
Deputato dal 2001, dal 17 maggio 2006 all’8 maggio 2008 Gentiloni è stato ministro delle comunicazioni nel Governo Prodi II 
[durante il quale passerà alla storia per non aver fatto la legge contro il conflitto di interessi, n.d.r.]
In seguito alle dimissioni del Governo Renzi, l’11 dicembre 2016 ha ricevuto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’incarico di formare il nuovo esecutivo.(fonte Wikipedia
(Lo faranno apposta? Un altro undici nefasto della serie nera, per gli amanti della cabala, dopo il 2011 del golpe felpato di Monti.)

Dell'illuminante biografia giovanile del conte non stupisca l'apparente contraddizione del nobile rampollo finito a militare nella sinistra extraparlamentare del Movimento Lavoratori per il Socialismo, essendo questa del comunista aristocratico la regola aurea e non l'eccezione, non solo in Italia. Continuo a registrare come non vi sia uno, dico uno, di questi eurogiannizzeri che, pur praticando odiose politiche "di destra", presenti un'origine destrorsa; che ne so, un campo Hobbit o almeno una gioventù missina da contrapporre al solito ex sessantottinismo da Lotta Continua e compagni. Forse perché bisognerebbe andare veramente a cercare nel popolo, nelle borgate, tra i poveri, come diceva Pasolini, per trovare qualcuno che non abbia militato nell'estrema sinistra facendo poi carriera nell'establishment. C'è sempre stato un legame indissolubile tra l'aristocrazia e la militanza a sinistra, per quanto riguarda le classi dirigenti. Non credo si possa negarlo, viste le affinità elettive e ideali che mostrano di avere con i più alti strati dell'empireo sociale.
Che siano aristocratici lo dimostrano nella tendenza a comandare, nell'amore per l'assolutismo autoritario e nella tendenza a chiudersi dietro il ponte levatoio, nel circondarsi di valvassori e valvassini, nell'uggia in cui hanno la plebaglia e nel disprezzo che riservano ai servi e soprattutto agli odiati borghesi industriosi; nel muoversi a loro perfetto agio solo in un contesto di clientela feudale dove ai servi ai quali gettano gli ossi ciucciati sotto il tavolo si richiede di essere grati al sire per l'eternità. Sono aristocratici per il fatto di formare vere e proprie corti con nani, musici, adulatori, giullari, cortigiane, eunuchi e concubine. Sempre teneri verso i loro più esotici trastulli, i selvaggi agghindati con le penne colorate, ma spietati con il loro popolo, al quale elargiscono lacrime e sangue dall'alto della loro autoreferente superiorità morale. Falsi egualitari con la mariantonietta sempre in canna.



Dei signorotti loro avi hanno conservato tutta la spavalderia, la maramalderia, la spocchia e la profonda convinzione di dover governare qui, ora e per sempre per mandato divino. Senza riuscire a concepire l'ìpotesi di un governo diverso dal loro. Per questo non riusciamo a toglierceli dai cosiddetti. Vengono da un'altra epoca, dove la democrazia è sconosciuta, e per il loro distacco dal senso di realtà è probabile provengano perfino da un fantasy.

Per tornare all'uomo del giorno. A voi che nulla sfugge, non è sfuggito il dettaglio del loden, questa sorta di divisa per affossatori di domande interne, che risulta essere indossato anche dal signor conte Silverj con la gei. Ebbene, non posso non farvi notare, per ricambiare la spigolatura, una strana coincidenza. Lo indossava pure lui, l'idolo, il fondatore della religione del bravapersonismo, colui che ancora oggi umetta il dotto lacrimale di coloro che rimpiangono "la vera sinistra", ovvero nient'altro che la propria gioventù e forse le rose che non colsero. Anche lui nobile, anzi Cavaliere Nobile Don Enrico. Anche lui, una coincidenza tira l'altra e, per chiudere il cerchio, primo fautore della grande bellezza dell'austerità e nobile padre dell'€urocomunismo, il solco nel quale fu seminata la futura moneta unica e tutti i lutti che a noi addusse. Lo so che è dura, ma liberandosi prima o poi dal complesso del berlinguerismo come incarnazione della vera e pura sinistra si riuscirà subito a capire il senso del viaggio di Napolitano in USA e la prosecuzione dell'eterna impunità della quale sembra godere, ininterrottamente dal 1945 ad oggi il Partito Comunista in tutte le sue innumerevoli successive mutazioni. 


Per quali eroismi si è distinto finora nella pugna il conte di Filottrano, sì da meritare in dono il gran feudo d'Italia? Oltre a non aver fatto la legge sul conflitto di interessi con Prodi (e noi allora grulli antiberlusconiani ci avevamo tanto sperato perché non ci eravamo resi conto che Guelfi e Ghibellini erano sempre stati d'accordo), da ministro degli Esteri lo si segnala per aver salvato, come si addice ad un nobil cavaliere e, dissero i maligni, a suon di guiderdoni, due pulzelle amiche dei jihadisti avventuratesi da sprovvedutelle in territorio ostile. Minor fortuna ebbe con il povero messer Regeni, caduto probabilmente in una trappola tessuta dalla perfida Albione e rimasto fino ad oggi senza giustizia per un altro conflitto di interessi irrisolto.
Più di recente lo abbiamo visto cedere la sciocchezzuola di diverse miglia di acque territoriali assai pescose a Madonna Marianna e perorare disperatamente la propria causa presso la corte della possibile futura Imperatrice d'oltreoceano - ma poi trombata - Ilaria, come ci hanno rivelato alcuni piccioni viaggiatori catturati da Messer Assange.
Prima ancora, nell'ottobre del 2015, il conte partecipò con altri cavalieri ad una tavola rotonda organizzata da Messer Manuel Valls su, come si legge in una missiva numerica inviata al Carissimo Podesta, amico dei giorni più lieti: "come sviluppare una narrativa politica ed economica per contrastare la destra e i populisti."





Angelino Alfano, testé interrogato nel post-coitum dall'adorante TGLa7, ha dichiarato che l'aver ceduto gli Interni a Minnitti ci deve significare la necessità di concentrare nelle sole mani del PD, che controlla le realtà locali, la gestione dell'accoglienza di mori e saracini. Ecco, la prima cosa alla quale pensano, al castello del PD, sono le vergini da offrire ai barbari.

Consentitemi una nota finale di ottimismo che potrebbe sembrare fuori luogo in questo kali yuga. Questi stanno guidando a fari spenti nella notte per vedere se è così difficile fare il frontale con la Storia. La Storia non è affatto finita, come diceva quel pirla di Fukuyama, e si ripeterà, con uguale se non maggiore spietatezza e ferocia, che sono sempre proporzionali al danno arrecato dagli oppressori ai loro popoli.

Di Battista ha detto una cosa interessante, a caldo (e non era farina del suo sacco): "Italiani, abbiate pazienza". Sono d'accordo. La chiave è non aver fretta, pazientare. Sedersi sulla riva del fiume. 
Guardate i due personaggi nella foto qui sopra. Se Henry Kissinger ha davvero dato la sua benedizione a Trump e vi sarà in USA il cambiamento, all'insegna del conservatorismo, per carità, con forti connotazioni militari, ma cambiamento grosso, con siluramento di tutti coloro che hanno governato negli ultimi quindici anni, tutta questa gente inizierà a ballare di brutto. Così forte che potrebbero perfino aprirsi le cateratte delle procure.
Un governo derivato, truffaldino e gattopardo, per non cambiare nulla mentre tutto attorno sta cambiando, mentre Camelot sta crollando sotto i colpi di maglio della Storia. Mi sbaglierò ma potremmo divertirci molto, a breve.
Pazientate.


domenica 11 dicembre 2016

Chirurgia per persone di plastica



Vi propongo l'articolo che ho scritto per la rivista "Puntozero", nel numero di Ottobre - Dicembre che trovate in edicola. Un ringraziamento ancora una volta a Tom Bosco per l'ospitalità.


Qualche settimana fa è morto ultranovantenne Ivo Pitanguy, il medico brasiliano che negli anni sessanta-ottanta era il primo nome in assoluto che a chiunque sarebbe venuto in mente pensando alla chirurgia estetica. Egli non era solo chirurgo delle star e autore, nel corso della sua lunghissima carriera, di ben 25.000 lifting, ma fu una figura preminente della chirurgia plastica ricostruttiva, quella che riduce gli effetti devastanti sia estetici che funzionali di malformazioni e lesioni da incidenti. In questo settore Pitanguy era famoso per offrirsi di operare gratuitamente quei pazienti poveri che non avrebbero mai potuto permettersi nemmeno il più leggero dei “ritocchi” che le celebrità di tutto il mondo gli richiedevano a suon di bigliettoni. 

Leggendo i vari necrologi di Pitanguy apparsi sui giornali ho scoperto che Niki Lauda, dopo il tremendo incidente del Nürburgring, si era rivolto a lui per la ricostruzione delle palpebre, rimaste completamente ustionate nel rogo della sua Ferrari. Dopo l'intervento, necessario per ripristinare la normale funzionalità visiva, Pitanguy chiese a Lauda se volesse ricostruire anche il resto del volto ma il pilota austriaco rifiutò, con la motivazione che: “A me semplicemente non piaceva l’aspetto che avrei avuto. Penso sia sbagliato, se ti sei operato la gente se ne accorge: la cosa importante di un intervento è che non si deve notare. Devi avere abbastanza personalità da superare la questione della bellezza e trovare la forza di volerti bene per come sei”. (fonte)


“L'aspetto che avrei avuto”. E' questa l'incognita che forse oggigiorno chiunque intenda sottoporsi ad un intervento in grado di modificare un'intera fisionomia tende sempre di più a sottovalutare, nell'era della riprogrammazione totale dell'aspetto esteriore dell'individuo vissuta quasi come obbligo, da affrontare spesso con leggerezza. Quasi come se le modifiche anche pesanti da imporre al proprio corpo potessero, in caso di pentimento, venir cancellate con la facilità del gesso sulla lavagna. Sugli aspetti sociali del fenomeno mi soffermerò più tardi ma intanto vorrei che tenessimo presenti i concetti di conservazione della propria personalità e di accettazione di sé. Qualcosa che ha molto a che fare con il principio di libero arbitrio dell'individuo. La questione è fondamentale perché le motivazioni per le quali oggi ci si sottopone ad interventi di chirurgia esteriore, più che estetica, tendono ad intaccare sempre di più quella libertà, a diventare anch'esse strumento di coercizione e controllo e di imposizione di modelli a volte francamente inquietanti. 

La frase di Lauda mi ha ricordato anche un episodio lontano della mia infanzia. Tra le nostre conoscenze estive di villeggiatura c'era la figlia di un medico, una bella ragazza, con un viso che rimaneva impresso perché era diverso dagli altri, di un tipo di bellezza non comune. L'anno successivo, quando li rincontrammo, la ragazza era divenuta irriconoscibile. Si era rifatta il naso, ed era entrata, da unica che era prima, nell'esercito dei cloni. Aveva ottenuto, grazie alla chirurgia, quella bellezza standardizzata e ahimè scialba che faceva dire ad Oscar Wilde: “Aveva uno di quei volti che, visti una volta, non te li ricordi mai più.” 
Credo che la delusione che provai nel vedere quanto quella ragazza fosse cambiata e come non fosse drammaticamente più lei mi abbia sempre in seguito dissuaso dal ritoccare il mio naso importante, evidentissima eredità di mio padre, a volte fonte di imbarazzo a causa di coloro che, ogni tanto, credendo di colpirmi nel punto debole, me ne facevano notare, appunto, l'importanza: “Certo, se tu correggessi quel naso, saresti molto più carina”. Sono sempre stata sicura invece che, nonostante il riavvicinamento a canoni estetici classici – in ogni caso artificialmente ottenuti – rifacendomi il naso e ridisegnando quindi la mia intera faccia, ottenendo un'altrettanto artificiale desiderabilità sociale, non sarei però stata più io. Né avrei naturalmente potuto sapere “l'aspetto che avrei avuto”. 
Neppure oggi ritoccherei altre parti del viso e del corpo che nel frattempo hanno iniziato ad essere segnate dal tempo che passa. Imparare a volersi bene, appunto.

Accettarsi e valorizzare la propria unicità. Ecco ciò che rendeva tanto attraenti, perfino nella mostruosa deformità, i freaks, le meraviglie umane del mondo dello spettacolo del passato. Leggendo le loro storie si resta stupiti di quanto spesso si trattasse, piuttosto che di poveri schiavi in mano a circensi senza scrupoli, di persone in grado di esercitare, tramite la seduzione, un grande potere sugli altri. Una tradizione, del resto, che prosegue dai tempi degli amatissimi nani delle corti europee rinascimentali. 
Il capolavoro di Tod Browning del 1933 a loro dedicato, film caratterizzato da una vena incredibilmente erotica che scorre sottotraccia, come si può notare nella scena delle gemelle siamesi e del loro corteggiatore, mostra chiaramente questo potere di seduzione e, alla fine, se i veri mostri sono i “normali”, la bella Cleopatra e il forzuto Ercole, non è perché essi hanno complottato contro i freaks per ucciderli ed appropriarsi dei loro beni – quelli del ricco nano protagonista, dall'inquietante aspetto infantile - ma perché hanno violato la sacralità del monstrum, hanno cercato di imporre la loro “normalità” sotto forma di violenza. L'atroce vendetta finale dei freaks non è altro che giustizia divina applicata tramite contrappasso ed affermazione rivoluzionaria della inviolabilità dell'unicità, ovvero della libertà di essere ciò che si è. Per esempio capaci di arrotolarsi una sigaretta pur non avendo né braccia né gambe.



Quando oggi sentiamo parlare tanto di difesa della diversità e di sua promozione, non ci si riferisce affatto all'originalità dell'unico e allo spirito rivoluzionario che l'accompagna ma all'imposizione di una diversità programmata a tavolino in ogni piccolo dettaglio e soprattutto approvata ed incoraggiata dal potere. Possiamo essere diversi ed essere valorizzati come tali solo se scegliamo un modello di sé dal catalogo delle proposte del pensiero unico. Possiamo scegliere tra tutte le sfumature del gender e le combinazioni dell'intersezionale, possiamo modificare, accessoriare, ridisegnare il nostro corpo, però secondo schemi dozzinali e ripetitivi, per ciò che diventa alla fine nient'altro che un sistema di marchiatura che renda più facilmente riconoscibili i capi della mandria.
Come avviene, ad esempio, nel caso della moda del tatuaggio, intesa come necessità di essere anche noi come gli altri illustrati, in modo da essere riconoscibili. Questa moda assume aspetti grotteschi quando si vedono sulle spiagge persone ridotte a muri di latrina, coperti di scritte e disegni a casaccio senza un filo logico che li leghi, come invece prevede il codice dei tatuaggi rituali di altre culture e subculture, come quella carceraria.

Se si parla di aspetto esteriore e nello specifico di chirurgia, la tendenza attuale più evidente è quella di plastificare i corpi, di renderli artificiali, ma più simili alle caricature dei fumetti (come le ragazze che si fanno gli occhi stile Manga) rispetto agli androidi della fantascienza. C'è chi apertamente dichiara di voler diventare Barbie o Ken (storia quest'ultima finita tragicamente), e si sottopone a decine di interventi per riuscirci. Badate bene, vogliono diventare bambole, ovvero oggetti inanimati, non altre persone. Paradossalmente, gli interventi di cambiamento di sesso sortiscono effetti molto più naturali e, in alcuni casi, “non si vedono”, come nel caso dei lady boy thailandesi.
Se parlate con qualunque chirurgo plastico vi dirà che sconsiglia sempre ai propri pazienti gli interventi più estremi e che l'apporto dello psicologo è sempre richiesto in questi casi.
Sarà. Eppure basta digitare “chirurgia estetica estrema” sui motori di ricerca per ottenere un campionario di orrori da togliere il sonno e per rimanere scioccati dall'evidente invasività di questi interventi.
Si tratta di persone che si sottopongono a volte a decine di interventi, ognuno dei quali comporta tagli, suture, inserimento di tubi nella carne viva per aspirare litri di grasso e sangue, di corpi estranei come protesi al silicone o impianti di muscoli addominali di plastica per simulare la famigerata “tartaruga” di chi si allena in palestra, fino ad iniezioni di cemento (!) e, più comunemente, di veleni come il botulino.

I risultati sono sempre più spaventosi. Donne dalle labbra gonfiate come canotti, dai seni e glutei irreali, sfigurate da occhi tirati all'inverosimile, uomini dall'espressione di gatto. Perfino attrici bellissime, di beltà divinamente naturale, accettano un brutto giorno di farsi sfigurare, di cancellare i tratti caratteristici della propria etnia (Reneé Zellweger), di dotarsi di stucchevolissime guanciotte e nasetto a punta (Nicole Kidman) o di rendersi completamente irriconoscibile (Uma Thurman). Anche gli uomini non sono da meno, e se lo sbiancamento e riprogrammazione del volto di Michael Jackson faceva parte probabilmente del tentativo del cantante di strapparsi di dosso il ricordo di qualcosa di geneticamente abusante, quelli di Mickey Rourke e Axl Rose sono sicuramente i casi di chirurgia horror vip più eclatanti. Tutti questi belli rovinati dal bisturi finiscono poi per assomigliarsi nella disgrazia, tutti fissati nella rigidità cadaverica del botulino, nella caricatura di una serie Nexus 6 venuta male. 

C'è un altro aspetto, infatti, oltre alla plastificazione dei corpi. Gli operati, chi ha dimestichezza con le camere mortuarie lo nota subito, assomigliano, più che a persone belle e in salute, a salme appena preparate per l'ultimo saluto. La morte ha, sui muscoli facciali, lo stesso effetto del botulino. Vale la pena di spendere soldi (il costo minimo di un lifting è di 5000 euro) e di correre il rischio operatorio per sembrare morti che camminano? E' anche questo un aspetto di quella “società di zombie” che verrebbe propiziata, secondo alcuni, dai vari nuovi ordini mondiali?

Quando l'effetto finale non è più quello di “non far notare l'intervento” ma di renderlo drammaticamente evidente, e sempre di più, con effetto cumulativo ad ogni ulteriore ritocco, qual è il significato di tutto ciò per chi vi si sottopone? 
Chi arriva a torturare il proprio corpo con decine e decine di operazioni, quando le persone normali eviterebbero volentieri qualunque incontro ravvicinato con il bisturi, pur necessario per motivi di salute, lotta contro una insopportabile non accettazione del sé che cerca consolazione nell'omologazione culturale e sembra entrare in una spirale di dipendenza non dissimile da quella della droga o della ludopatia. 

Accettarsi, si diceva all'inizio. Accettare le proprie imperfezioni, accettare di invecchiare, di cambiare. Di lasciare che il nostro volto racconti la nostra lunga storia, anche se è una storia di fuoco e sofferenza, come quella di Niki Lauda. Una storia però vera, e di rinascita, di coraggio. I segni, le rughe, le imperfezioni, sono le cicatrici della nostra maturazione. Sono il modo più estremo che abbiamo di essere nudi. Una nudità che fa paura e che preferiscono che ricopriamo con uno strato di plastica. Fissati nel rigor mortis dell'apparire senza essere.



venerdì 9 dicembre 2016

Il famoso "salvati nel Canale di Sicilia", ovvero un disegnino animato vale più di mille disegnini statici



Ho tradotto per voi questo articolo comparso sul sito Gefira. Dice cose molto gravi ma che abbiamo sospettato per mesi, se non anni. Soprattutto a causa di quella menzogna, martellata ogni sera dai media nel tentativo di farla diventare verità, relativa ai "salvataggi nel canale di Sicilia" e sempre di "donne e bambini" e sempre "rifugiati", mentre la realtà, se ciò che racconta Gefira è vero, è totalmente diversa. Il video è veramente impressionante. In un paese normale e in un mondo normale tutto questo sarebbe inaccettabile e impensabile.


Per due mesi, utilizzando marinetraffc.com, abbiamo monitorato gli spostamenti di navi di proprietà di un paio di ONG,  incrociandone i dati con quelli dell'UNHRC relativi agli arrivi giornalieri di migranti africani in Italia. Ciò che abbiamo scoperto è un grande inganno e un'operazione illegale di traffico di esseri umani su larga scala.
Le ONG, gli scafisti, la mafia, di concerto con la UE, hanno trasportato via mare migliaia di clandestini in Europa con il pretesto di salvare vite umane, assistiti dalla guardia costiera italiana che ha coordinato le loro attività.



I trafficanti di uomini contattano la guardia costiera italiana in anticipo sulla partenza per preavvertirli della necessità di prelevare i passeggeri delle loro imbarcazioni. Le navi delle ONG si dirigono nel punto di "soccorso" quando coloro che sono da salvare risultano ancora in Libia.
Le 15 navi che abbiamo osservato, di proprietà o noleggiate da ONG, sono state viste lasciare i porti italiani, dirigersi a sud, fermarsi a poche miglia dalla costa libica, prelevare il carico umano e ritornare per le 260 miglia che la separano dall'Italia, nonostante il porto di Zarzis in Tunisia sia appena a 60 miglia dal punto di raccolta.

Le organizzazioni non governative in questione sono: MOAS, Jugend Rettet, Stichting Bootvluchting, Médecins Sans Frontières, Save the Children, Proactiva Open Arms, Sea-Watch.org, Sea-Eye and Life Boat.

Le reali intenzioni delle persone che stanno dietro alle ONG non sono del tutto chiare. Non ci sorprenderebbe se la loro vera motivazione fosse il denaro. Rispondono anche a direttive politiche. Ad esempio il MOAS, di stanza a Malta, trasportando i migranti in Italia impedisce che essi giungano sulle coste maltesi.
Il MOAS è diretto da un ufficiale di marina maltese ben noto a Malta per non essere tenero con i migranti.
E' anche possibile che queste organizzazioni siano gestite da benefattori in buona fede che non capiscono che, offrendo i loro servigi, fungono da magnete per le popolazioni africane, provocando così più partenze, più naufragi e più vittime, senza contare che le loro azioni stanno destabilizzando l'Europa.
Qualunque sia la motivazione di queste organizzazioni, le loro azioni finiscono per essere criminali, dato che la maggior parte di questi migranti risulteranno non avere diritto ad asilo e finiranno per le strade di Roma o Parigi, sollecitando tensioni sociali e razziali.

Bruxelles del resto ha creato leggi speciali a tutela dei trafficanti. In una sezione dedicata di una risoluzione della UE dell'aprile 2016", si afferma che "armatori privati e organizzazioni non governative che assistono i salvataggi nel Mediterraneo, non devono essere soggetti a punizioni per l'assistenza che prestano".

Nei due mesi della nostra osservazione del traffico marittimo, abbiamo monitorato il trasferimento illegale in Italia di almeno 39.000 africani, eseguito con il pieno consenso delle autorità italiane ed europee.
Inoltre, in ottobre abbiamo scoperto che quattro ONG hanno prelevato persone all'interno delle acque territoriali libiche. Abbiamo prova del fatto che questi scafisti avessero preventivamente comunicato la partenza alle autorità italiane. Dieci ore prima che i migranti lasciassero la Libia, la guardia costiera italiana infatti diresse la ONG verso il punto di raccolta. Potete leggere i dettagli completi in questo articolo: “Caught in the act: NGOs deal in migrant smuggling”.

Il MOAS ha legami stretti con la famosa compagnia americana di contractors Blackwater, con l'esercito americano e con la marina maltese: “The Americans from MOAS ferry migrants to Europe”.

mercoledì 7 dicembre 2016

Guest post. La replica di Roberto Buffagni al FSI




Ricevo da Roberto Buffagni e volentieri pubblico, la sua risposta alle argomentazioni del FSI (Fronte Sovranista Italiano) apparse su Appello al Popolo.


Grazie della replica articolata e cortese. Dal vostro scritto scelgo per ora tre punti chiave. Pur prefiggendomi la massima semplificazione, come si conviene a un’analisi che è anzitutto formale e strategica, non è possibile rispondervi, come sarebbe desiderabile, con maggior brevità. Sul resto, se lo vorrete, si potrà continuare a dibattere in seguito.

I testi integrali del mio intervento e della replica di Stefano D’Andrea e Paolo Di Remigio del Fronte sovranista italiano si trovano qui: http://ilblogdilameduck.blogspot.it/2016/11/make-italy-great-again.html e qui: http://appelloalpopolo.it/?p=26256

1) “Buffagni non spiega perché la UE sia il nemico”

Designo l’UE come nemico perché l’UE è un progetto imperiale fallito sin dal suo concepimento, politicamente non vitale e non riformabile, gravemente dannoso per la nazione italiana, potenzialmente catastrofico per l’intera Europa. Nella grammatica politica, esistono soltanto gli Stati nazionali, che possono in varia forma e misura confederarsi, cioè unirsi in modo revocabile: v. il progetto gaulliano di “Europa delle nazioni”; e gli Imperi, in cui l’unità è federale, cioè irrevocabile: v. per antifrasi la guerra di secessione USA tra Nord federale e Sud confederale. 

L’Europa non può essere o diventare uno Stato nazionale, perché se esiste una civiltà europea, non esiste una nazione europea. L’UE non è una confederazione: se lo fosse, il quadro giuridico dei rispettivi poteri e competenze di Stati nazionali e istituzioni confederali sarebbe chiaro e politicamente legittimato, e l’unione revocabile. L’UE è un progetto imperiale federale. Per federare un insieme di Stati in un organismo istituzionale maggiore, Stato-nazione o Impero che sia, ci vuole un federatore (v. il ruolo di Piemonte e Prussia nelle unificazioni italiana, nazionale, e tedesca, imperiale, del XIX sec.). I requisiti essenziali del federatore sono l’indipendenza politica e la forza egemonica (senz’altro militare, nel caso migliore anche economica e culturale). Nel progetto di federazione imperiale UE non c’è un federatore: lo Stato più forte, la Germania, difetta di entrambi i requisiti (ospita sul proprio territorio basi militari non europee, è economicamente ma non culturalmente egemone). 

In realtà, il progetto federale imperiale UE ha due federatori a metà: un federatore politico (gli USA, che dispongono dell’indipendenza politica, della forza militare, e in certa misura dell’egemonia culturale in Europa) e un federatore economico (la Germania). Nessuno dei due “federatori a metà”, né il politico né l’economico, può/vuole portare a compimento la sua opera. Gli Stati europei non possono federarsi politicamente con gli USA, diventando il cinquantunesimo, cinquantaduesimo, settantottesimo, etc., Stato della federazione nordamericana. Né gli Stati europei possono federarsi intorno all’egemonia economica tedesca, perché il vantaggio economico del “federatore a metà” tedesco implica lo svantaggio economico senza contropartita politica della maggior parte dei federandi, che com’è logico prima o poi si ribellano politicamente: ma né gli USA per evidente assenza di legittimazione politica, né la Germania per evidente difetto di mezzi atti allo scopo, possono far uso della forza militare per ricondurli all’unità. 

Ora, nessun federatore agisce gratis et amore Dei nell’unica preoccupazione dell’interesse dei federati; ma perché l’operazione sia politicamente vitale, tra federatore e federati deve sempre avvenire uno scambio, più o meno equo e immediato, di reciproci vantaggi: anche quando la federazione avvenga per conquista sul campo di battaglia. Ad esempio, nell’unificazione italiana allo svantaggio economico patito dal Meridione – sconfitto con le armi in due campagne militari, la seconda delle quali, la “guerra al brigantaggio”, particolarmente feroce - corrispondono i vantaggi politici dell’accrescimento di potenza dello Stato, così liberato dalle ingerenze straniere, dell’integrazione tra territori culturalmente e linguisticamente affini, e, seppur tardivamente e imperfettamente, un riequilibrio/compensazione delle disparità economiche e sociali tra Nord e Sud, aggravate o almeno non appianate dall’unificazione. 

Nel caso dell’UE, invece, la federazione non può essere portata a compimento né dal “federatore a metà” politico, gli USA, né dal “federatore a metà” economico, la Germania. Ne risulta non solo una paralisi del processo di federazione, ma:

a) un grave danno politico per tutte le nazioni europee: l’UE risulta in un dispositivo di neutralizzazione politica dell’Europa nel suo complesso, del quale si avvantaggia il “federatore a metà” statunitense 

b) un grave danno economico per tutte le nazioni europee tranne la Germania e i suoi satelliti, che invece si avvantaggiano del danno altrui 

La contropartita di questi due danni, politico ed economico, è zero. Ripeto e sottolineo due volte: zero. 
Gli unici che traggono reale vantaggio, personale o di ceto/categoria, dal progetto UE, sono coloro che vogliono/possono subordinarsi e allinearsi all’uno, all’altro o per quanto possibile a entrambi i “federatori a metà”, USA e Germania. Tra costoro, in primo piano i ceti dirigenti politici pro UE e i ceti dirigenti economici e finanziari che traggono beneficio dalla globalizzazione e dall’UE, che della globalizzazione a guida USA è articolazione decisiva. 

Per l’Italia – Stato, nazione, popolo italiani – la contropartita di questi due danni, politico ed economico, è meglio esprimibile con valore algebrico negativo.
Quanto all’Europa in generale, lo squilibrio tra intenzioni (almeno esplicitamente dichiarate) e risultati effettuali dell’UE è talmente grande che minaccia di provocare, più prima che poi, una implosione/disgregazione totale del progetto UE, in modi e con effetti imprevedibili e potenzialmente catastrofici.
Morale: prima si esce dall’UE meglio è, se ne esce solo abbattendola, e la si abbatte solo se la si designa come nemico, anzi come nemico principale dell’attuale fase politica. Non si riforma dall’interno un ferro di legno, un’istituzione politica essenzialmente sbagliata.


2) “In un lungo commento … Roberto Buffagni si propone di mostrare l’impossibilità fattuale e l’indesiderabilità etica di un partito sovranista in Italia”.

Qui non leggete con attenzione. In apertura del mio testo ho scritto: “In linea di principio e in un mondo migliore, la strategia del superamento del clivage destra/sinistra e della costruzione di un’alleanza – o addirittura dell’integrazione in nuovo partito - tra forze politiche provenienti da sinistra e da destra, allo scopo di uscire dall'eurozona e di riappropriarsi della sovranità nazionale alienata alla UE, sarebbe la più adeguata alla fase politica. Peccato che secondo la mia valutazione - che può, beninteso, essere sbagliata – in Italia l’edificazione di questa alleanza è impossibile in tempi politici prevedibili (5-10 anni); non solo, ma il tentativo di crearla può rivelarsi gravemente controproducente.” Confermo. Detto per inciso, sarei ben lieto di scoprire che mi sbaglio.

3) “la sinistra non è affatto maggioritaria nell’opinione italiana: già ora i sondaggi danno i grillini in vantaggio ed è almeno probabile che in futuro gli effetti di una politica economica demenziale contribuiscano a eroderne ancora i consensi…La sinistra è morta da tempo….Cosa intendiamo col dire ‘la sinistra è morta’? Che cos’è la sinistra? La sinistra è l’alone politico e culturale creatosi intorno all’URSS, la fede, più o meno viva, che la rivoluzione creerà una società superiore all’attuale. Se questo è vero, la divisione profonda che ha colpito il popolo italiano non nasce dal 1943, come ritiene Buffagni, ma dal 1917, quando il trauma della Grande Guerra e la presenza di una nuova società battezzata da una rivoluzione creano da una parte l’aspettativa dall’altra il terrore di una prospettiva rivoluzionaria: questa aspettativa è la sinistra, questo terrore è l’alleanza volta a contrastarla – alleanza che in Italia è leggibile nei partiti del primo governo Mussolini”

Contesto la definizione di “sinistra” come “l’alone politico e culturale creatosi intorno all’URSS, la fede, più o meno viva, che la rivoluzione creerà una società superiore all’attuale.” 
C’è sicuramente anche questo, ma tra le varie forze che nascono dalla cultura politica di sinistra (ricordo che il liberalismo nasce a sinistra) c’è un minimo comun denominatore oggi molto più decisivo, che non è il SI’ alla rivoluzione. 
Il minimo comun denominatore della sinistra europea (e non solo) è l’universalismo politico. 

L’universalismo è una cosa sul piano delle idee, dei valori, della spiritualità: vi alludete voi stessi dicendo che “in fondo [i poteri mondialisti] hanno fatto propri ideali a cui noi stessi non potremo mai rinunciare: la condanna del razzismo, del sessismo, lo spirito di apertura culturale.”
Se tradotto sul piano politico, però, l’universalismo non può che incarnarsi in forze inevitabilmente particolaristiche: perché esistono solo quelle, nella realtà effettuale.

Volendo, chi se ne sente all’altezza può parlare in nome dell’umanità; ma non può agire politicamente in nome dell’umanità senza incorrere in una contraddizione insolubile, perché l’azione politica implica sempre il conflitto con un nemico/avversario. 

Senza conflitto, senza nemico/avversario non c’è alcun bisogno di politica, basta l’amministrazione: “la casalinga” può dirigere lo Stato, come Lenin diceva sarebbe accaduto nell’utopia comunista. A questa contraddizione insolubile si può (credere di) sfuggire solo postulando come certo e autoevidente l’accordo universale, se non presente almeno futuro, di tutta l’umanità: "Su, lottiamo! l'ideale/ nostro alfine sarà/l'Internazionale/ futura umanità!" (il "governo mondiale" è un surrogato o avatar della "futura umanità" dell'inno comunista). 
Lenin, e in generale il movimento comunista (o anarchico) rivoluzionario, vuole risolvere la contraddizione con la forza, imponendo la “volontà rivoluzionaria”, che “implica una volontà di violenza estrema” (corsivi vostri). Nella classificazione machiavelliana, Lenin è un “leone”. 

Le classi dirigenti UE, liberali, cattoliche, socialdemocratiche, eredi legittime delle potenze antifasciste che i fascismi sconfissero sul campo di battaglia (assente giustificata l’URSS comunista) sono “di sinistra” in quanto condividono l’universalismo politico che fu anche di Lenin (e di Bakunin, etc.). Esse però vogliono/devono risolvere la contraddizione con l’astuzia; Machiavelli le definirebbe “volpi”. Scrivo “devono”, perché a prescindere dalle intenzioni soggettive, non potrebbero essere altro che “volpi”: entrambi i “federatori a metà” non possono portare a compimento con la forza la loro opera (v. punto 1). 

Anche l’UE postula l’accordo universale, se non presente almeno futuro: accordo anzitutto in merito a se medesima, e in secondo luogo in merito al governo mondiale legittimato dall’umanità intera che ne costituisce lo sviluppo logico, e giustifica eticamente sin d’ora l’obbligo di accogliere un numero indeterminato di stranieri, da dovunque provenienti, sul suolo europeo. Il passaggio tra il momento t1 in cui l’accordo universale è soltanto virtuale, e il momento t2 in cui l’accordo universale sarà effettuale, non avviene con il ferro e il fuoco della “volontà rivoluzionaria”. Le volpi oligarchiche UE introducono invece nel corpo degli Stati europei, il più possibile surrettiziamente, dispositivi economici e amministrativi, anzitutto la moneta unica. Questi “piloti automatici” provocano crisi politiche e sociali, previste e premeditate, all'interno degli Stati e delle nazioni, ai quali rendono necessario e inevitabile o reagire con un conflitto aperto e distruggere la UE, o addivenire a un accordo universale in merito al “sogno europeo”: per il bene degli europei e dell’umanità, naturalmente, come per il bene dei russi e dell’umanità Lenin ricorreva al terrore di Stato, alle condanne degli oppositori per via amministrativa, etc. 

A questa opera va associata, inevitabilmente, una manipolazione pedagogica minuziosa e su vasta scala, in altri termini una lunghissima campagna di guerra psicologica. La dirigenza UE conduce questa campagna di guerra psicologica da una posizione di ipocrisia strutturale formalmente identica a quella della dirigenza sovietica, perché non è bene e vero quel che è bene e vero, è bene e vero quel che serve alla UE o alla rivoluzione comunista: in quanto Bene e Verità = accordo dell’intera umanità, fine dei conflitti, pace e concordia universali. (Le élites, necessariamente ristrette, di “spirituali” o “psichici” che conoscono questo arcano della Storia, hanno il diritto e anzi il dovere morale di ingannare e manipolare, per il loro bene, le masse di “carnali” che invece non lo conoscono).

Il leone Lenin accetta solo provvisoriamente il conflitto politico, e anzi lo spinge a terrificanti estremi di violenza, in vista dell’accordo universale futuro: dopo la “fine della preistoria”, quando diventerà reale il “sogno di una cosa” comunista e ogni conflitto cesserà nella concordia, prima in URSS poi nel mondo intero. Le volpi UE celano l’esistenza effettuale del conflitto (in linguaggio lacaniano “lo forcludono”), e da parte loro lo conducono provvisoriamente con mezzi il più possibile clandestini, in vista dell’accordo universale futuro, quando diventerà reale il “sogno europeo” e ogni conflitto cesserà nella concordia, prima in Europa poi nel mondo intero.

In questo grande affresco romantico proposto alla nostra ammirazione con la colonna sonora dell’ Inno alla Gioia (forse non è un caso che il Beethoven delle grandi sinfonie fosse anche il compositore preferito di Lenin) c’è solo una scrostatura, solo un piccolo difetto d’acustica: che nella realtà, l’accordo universale di tutta l’umanità non si dà effettualmente mai. Ripeto e sottolineo due volte: mai, never, jamais, niemals, jamàs, etc.

Questo chiarimento (lungo ma necessario) in merito al concetto di “sinistra” per spiegare come mai io dica che “la sinistra è maggioritaria in Italia”. La sinistra è maggioritaria nella cultura e nell’opinione degli italiani, perché maggioritario nella cultura e nell’opinione degli italiani è l’universalismo politico. 

Il M5S è anzi un caso esemplare di universalismo politico spinto fino alle estreme conseguenze dell’assurdità e del ridicolo. La scelta di non allearsi con alcuna forza politica se non su singoli provvedimenti definiti “tecnici” o “concreti” consegue, infatti, direttamente dal rifiuto pregiudiziale e preliminare del conflitto politico: dire che tutti sono avversari o nemici è identico a dire che nessuno lo è; dall’individuazione del nemico/avversario, infatti, consegue quali siano gli amici politici, che non si scelgono in base alla comunanza dei valori o all’affinità intellettuale e sentimentale, ma ci vengono imposti dalla comune inimicizia. 

Il M5S rinvia l’azione politica vera e propria al momento magico in cui, da solo, prenderà il 51% dei voti, metterà in opera un progetto di democrazia diretta elettronica totale, e gradualmente persuaderà tutti della bontà e verità della propria azione, che non si caratterizza per la rispondenza a interessi ben definiti di ceti, classi, etc., ma per qualità d’ordine prepolitico come l’onestà, la trasparenza, etc.: qualità che tutti sono costretti a riconoscere come buone e vere, se non vogliono autodefinirsi cattivi, corrotti, bugiardi, etc. Una posizione simile condurrebbe, per sua logica interna, al Terrore giacobino; se non fosse che a) il M5S è sprovvisto dei mezzi per metterlo in opera b) il M5S agisce in un quadro di sovranità nazionale limitata (dalla UE). 

In un certo senso, il M5S è un microcosmo che rispecchia il macrocosmo UE. E’ un organismo politico affatto disfunzionale, ispirato a un universalismo politico che non ha la forza di imporre; il contenuto delle sue proposte politiche si autodefinisce come “la miglior soluzione possibile a problemi concreti”; inoltre, è (probabilmente) eterodiretto da centrali USA com’è politicamente eterodiretta l’UE dal “federatore a metà” statunitense. Come l’UE in grande, così il M5S in piccolo sortisce principalmente due effetti: neutralizza politicamente l’Italia, che a causa dell’ “elefante nel salotto” M5S non riesce a schierarsi sul clivage del conflitto politico principale (UE sì/no); gioca e fa giocare agli italiani un incessante ping- pong mentale tra la UE realmente esistente (falsa e cattiva) e la UE possibile in futuro (vera e buona).

E’ dunque la sinistra in quanto vettore dell’universalismo politico che va battuta, se si vuole battere la UE.

Prova a contrario della precedente affermazione: le uniche due forze politiche che si sono sinora apertamente schierate contro l’UE sono la Lega, e Fd’I. Qual è il minimo comun denominatore tra una forza politica che nasce antinazionale e addirittura secessionista, e una forza politica che sin dal nome si definisce nazionalista? 

Il minimo comun denominatore tra Lega e Fd’I è l’opposizione frontale all’universalismo politico. 

La Lega nasce come espressione dell’interesse, inteso spesso nella sua forma più immediata e rozza, di comunità territoriali del Settentrione d’Italia. Fd’I nasce da una rielaborazione della tradizione nazionalista di destra e fascista, con l’intento dichiarato di rappresentare l’interesse nazionale. Il minimo comun denominatore tra queste due forze apparentemente incompatibili - e che lo sono effettivamente state sinché il quadro in cui operavano era quello dello Stato nazione italiano – è che entrambe assumono, come principio ordinatore della loro azione, un interesse parziale. 

La comunità territoriale rappresentata dalla Lega può ricondursi all’interesse nazionale quando senta il proprio interesse minacciato, anzitutto, da un organismo sovrannazionale come la UE, che dunque essa designa come proprio nemico principale. L’interesse della nazione italiana, che in un quadro di sovranità nazionale dovrebbe essere sovraordinato all’interesse di tutte le forze politiche, può generare una forza politica correttamente posizionata quando essa individui come nemico principale un nemico esterno alla nazione (l’UE) col quale altre forze politiche nazionali sono invece alleate.

Le piccole dimensioni di Lega e Fd’I sono la migliore illustrazione di quanto sia diffusa ed egemone la cultura politica “di sinistra”, cioè politicamente universalista, in Italia. Proprio per questo sarebbe importante che dalla cultura politica di sinistra nascesse una formazione che, criticando coerentemente l’universalismo politico e il progressismo che vi si accompagna, designasse senza esitazioni e compromessi l’UE e il mondialismo come nemico principale: perché praticare una breccia nel muro ideologico del campo avverso è un risultato la cui importanza è impossibile sopravvalutare. 


Roberto Buffagni @BuffagniRoberto

I risparmiatori con carta straccia in tasca sognano banche di cartapesta?


Questa, come direbbe Carlo Lucarelli, è una brutta storia. Una di quelle storie che crederesti possibile potesse accadere solo in America ai tempi dei derivati, ai tempi "della merda di cane dentro la merda di gatto" impacchettata e rifilata ai debitori subprime, e comunque non qui, non da noi in provincia, dove ci si fida ancora dei propri simili perché ci si trova quasi ogni giorno al caffè a commentare, nel nostro amabile e colorito dialetto, le partite della domenica, il freddo incipiente o il caldo che opprime.

Invece la brutta storia è accaduta, ed è la storia di un bail-in vero, in carne e sangue, di cui si è parlato pochissimo e solo sulla stampa locale e nel quale, l'ho scoperto solo oggi dopo i  sospetti che avevo avuto per diversi mesi, sono stata coinvolta anch'io.
Ripeto, ci si fida, soprattutto quando si conoscono da anni coloro dei quali ci si fida, perché anche i nostri genitori si fidavano di loro. E poi, vivendo da trent'anni in Romagna, nella calda accogliente Romagna, la sacrosanta e salvifica diffidenza di noi genovesi tende a perdersi irrimediabilmente.

Era da un po' che, dopo i fatti di Banca Etruria ecc., ero in pensiero riguardo a poche centinaia di azioni di un'istituto di credito locale che mio padre aveva acquistato parecchi anni fa, ancora in lire, e che aveva sempre conservato, fidandosi dei consigli di chi gli gestiva il risparmio. In effetti le azioni avevano sempre mantenuto il loro valore. O meglio, come dicevano in banca al mio anziano genitore: "Se dovessimo venire acquisiti da una banca più grossa, il compratore vi pagherebbe un prezzo almeno doppio per averle". Ripensandoci ora, a voi risulta che quando un pesce grande si mangia il piccolo, quest'ultimo ci guadagni? No, vero? Però quando ci si fida si arriva a crederlo. Soprattutto da noi in provincia, tra amici.
Finché le azioni sono rimaste attestate sul loro discreto valore (sono andata a controllare, nel 2009 era 19,32) ci fu consigliato di tenerle. Anche quando cominciarono a scendere a 19,13 (2011), 16,00 (2015), fino ai 13,10 euro del 20 giugno 2016, valore che ho ritrovato spulciando tra gli estratti conto. 
Eppure, quell'ultima volta, io che non capisco niente di finanza ripetei al consulente, come avevo fatto nei precedenti incontri periodici fin dai tempi dei primi terremoti bancari, la richiesta di potermi sbarazzare di quelle azioni ereditate perché non mi sembravano più sicure ma mi fu risposto che non conveniva, anche perché nessuno le avrebbe comperate (!). E poi, dopo tutto, "quelle azioni le abbiamo anche tutti noi dipendenti della Banca" e "ci sarà l'aumento di capitale, la Banca è sana". Ci si fida, in provincia. "Si può sempre rivedere e modificare la collocazione dei titoli, qualora fosse necessario  e succedesse qualcosa di grave in qualsiasi momento", ti ripetono in tempo di crisi per carpire ancora un po' della tua fiducia. Ti fidi.
Invece, sembrava l'arca di Noè ma era il Titanic. 

Vediamo infatti cosa stava accadendo in quei giorni. Riporto la cronaca del "Resto del Carlino":
Cesena, 9 giugno 2016 - Ci sono due notizie, una buona e una cattiva: quella buona è che la Cassa di Risparmio di Cesena, storico istituto romagnolo nato nel 1841, al culmine di un periodo di progressive difficoltà, sarà salvata da un aumento di capitale da 280 milioni di euro che sarà sottoscritto dal Fondo interbancario di tutela dei depositanti; quella cattiva è che i 13.200 azionisti resteranno con un pugno di mosche o poco più poiché il valore delle nuove azioni sarà compreso tra 10 e 80 centesimi (la ‘forchetta’ è stata calcolata dal professor Augusto Provasoli per Partners spa) quando un paio di anni fa venivano scambiate a 19 euro.

Tra gli azionisti che vedranno falcidiato il loro patrimonio ci sono le Fondazioni di Cesena, Lugo e Faenza che controllano complessivamente il 66% del capitale azionario (48% Cesena, 11,5% Lugo e 6,5% Faenza) ed entro quattro anni dovranno cedere parte delle azioni in loro possesso.
Il 1° febbraio scorso, su indicazione della Banca d’Italia, sono stati rinnovati totalmente il consiglio d’amministrazione e il collegio sindacale. Presidente è stata eletta Catia Tomasetti, avvocatessa romana con origini riminesi, presidente anche dell’Acea (multiutility del Comune di Roma). Poi il direttore generale Adriano Gentili è andato in pensione al compimento del 70esimo anno e ha lasciato il posto a Dario Mancini. Il nuovo management ha buttato all’aria il bilancio già impostato con una perdita di 67 milioni e lo ha successivamente variato più volte gravandolo di accantonamenti sempre più ingenti a copertura dei crediti deteriorati provenienti soprattutto dal settore immobiliare, fino ad arrivare alla chiusura con una perdita di 252 milioni. Contemporaneamente si è assicurato la copertura del Fondo interbancario di tutela dei depositanti che, attraverso lo Schema volontario, garantirà in tempi rapidi un aumento di capitale da 280 milioni. L’operazione di alleggerimento del patrimonio e ricapitalizzazione della Carisp è propedeutica alla sua cessione: in prima fila ci sarebbe la Cassa di Risparmio di Parma, controllata dal colosso francese Credit Agricole.
All’assemblea dei soci che si svolgerà il 28 giugno, agli azionisti attuali verrà proposto un contentino che potrebbe avere interessanti prospettive: un aumento di capitale da 55 milioni attraverso warrant gratuiti (quattro o cinque per ogni azione) da convertire in altrettante azioni al prezzo di acquisto attuale del Fondo (presumibilmente 40-50 centesimi) in un periodo che va da 18 mesi a cinque anni dall’emissione: se la quotazione delle azioni (attualmente sospese) aumenterà ci sarà da guadagnare, altrimenti si rimarrà col pugno di mosche, ma senza ulteriori spese. Intanto è già avviato il piano industriale: si punta al rilancio partendo dalla chiusura di venti filiali e dal prepensionamento (nell’arco di sette anni) di oltre un centinaio dei quasi mille dipendenti. (fonte "Cassa di Risparmio di Cesena, valore delle azioni tra 10 e 80 centesimi")

La conferma del disastro, chiamatelo bail-in, chiamatelo come vi pare, l'ho avuta oggi. Le mie azioni ora valgono 0,50qui potete leggere una spiegazione di questo volontario autodeprezzamento deciso in giugno, che sta già provocando azioni legali con richieste di risarcimento a cura delle associazioni di consumatori, alle quali non escludo di aggregarmi. 

Come ho scoperto tutto questo, che ignoravo perché mi ero fidata del servizio pronto-intervento salvaclienti? L'ho scoperto cercando di contattare uno dei consulenti finanziari che ho in rubrica per il solito appuntamento di fine anno per fare il punto della situazione e sentendomi rispondere dal suo gestore telefonico che "attenzione, il numero da lei selezionato è inesistente". 
In banca mi hanno confermato che non lavora più lì e il suo sostituto si è affrettato a rassicurarmi sulla bontà yum yum dei warrant che mi sono stati regalati (!) a risarcimento parziale della perdita subita. 
Per darvi un'idea della sua entità: nel 2011 il pacchetto di azioni, del valore di 19,32 l'una, ammontava a € 10.200,96, ora si è ridotto a € 266,50. A giugno vi avevo ancora € 6.934,33 investiti, che sono stati risucchiati da un giorno all'altro nel mälström della ricapitalizzazione. A questo punto viene da pensare che fosse stato deciso non dovessero essere salvati, assieme a quelli di migliaia di altri consumatori. O penso troppo male? Ridenominiamola in lire, la perdita di questi sei mesi, che a noi vecchi fa ancora più impressione: dodicimilioninovecentodiecimilasettecentoidiciannove e rotti lire.
La spiegazione fornitami dalla banca riguardo il deprezzamento a 0,50 delle mie azioni è stata che si è trattato di una cosa inaspettata, di un fulmine a ciel sereno, imprevedibile e ovviamente inevitabile. La solita maiala della TINA. Ma davvero.

Sono fortunata, grazie alla diversificazione del paniere dei miei risparmi, di non aver motivo di spararmi un colpo in bocca a causa di questa perdita, che per altre situazioni economiche sarebbe tragica, e penso a chi invece si è trovato, alla stessa maniera ma con tutto il monte risparmi di una vita azzerato. Al senso di inganno e di impotenza, di rabbia e disperazione che può portare al suicidio.
Nonostante la mia posizione privilegiata, questo episodio, che forse devo ancora digerire fino in fondo in termini di furiosissimo sdegno da esprimere e rappresaglie da attuare, prima di tutto chiudere qualsiasi rapporto con la banca in oggetto, ha acuito il senso di precarietà e di incertezza per il futuro che colpisce tutti di questi tempi e ovviamente anche me. Non mi sento benissimo stasera.

Ah, che cosa sono i warrant l'avete capito? "Si, sono derivati ma, sa, signora, i derivati sono stati anche molto demonizzati ultimamente. Non sono una cosa cattiva", ti dicono i nuovi consulenti dei quali ti dovresti fidare, come di quegli altri, per definizione e di default. E perché li incontri al bar.
Se non ho capito male è come se un ladro che vi svaligia la casa vi lasciasse sul tavolo dei gratta e vinci da grattare nel 2021. Chi lo sa, per allora potreste anche essere più fortunati.

E poi non si vogliono le ghigliottine in piazza.